Alghe: un po’ di chiarezza

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Alghe: un po’ di chiarezza

Andando in giro per forum e gruppi Facebook, è impossibile non notare la quantità di post e richieste inerenti la crescita di alghe nelle vasche, fattore spesso indesiderato quanto tutto sommato naturale.

Al contempo, mi sono ritrovato spesso a domandarmi il motivo per il quale questi organismi possano attecchire e talvolta prendere il sopravvento nei nostri piccoli angoli di natura. A tal punto, ho iniziato a considerare le varie ipotesi e i vari rimedi consigliati. Ognuno, dal mio punto di vista, presenta delle falle. La chiave per capire le alghe è spesso diversa da ciò che viene proposto. Se troppi nitrati o fosfati vogliono dire alghe, allora perchè anche quando questi valori sono pari a zero dovremmo avere lo stesso problema?

Vedremo alla fine dell’articolo che, spesso e volentieri, con un po’ di attenzione, qualche cambio d’acqua, un po’ di pulizia e un sacchetto di carbone si possono risolvere molti dei problemi senza ricorrere a prodotti antialghe (dei veri e propri rimedi prettamente estetici) né a resine a scambio ionico, che non solo non risolvono il problema, ma che spesso oltre a non rimuovere la principale causa, la sostituiscono con altri elementi indesiderati, nè con l’utilizzo di “piante antialghe”, di cui spesso sarebbero necessarie quantità davvero impressionanti per risolvere una situazione già compromessa in partenza.

Per quanto veloce ed ossigenante possa essere una pianta, non sarà mai in grado di contrastare in maniera efficace una invasione algale in corso, dato che la si pone comunque in un ambiente non ottimale alla sua crescita. E se anche vi riuscisse, vorrebbe dire che il confine tra un ambiente “sano” ed uno “non sano” nel caso specifico era davvero molto labile.

La stessa allelopatia, poco indagata e spesso tirata in ballo come panacea di tutti i mali, è in realtà un effetto abbastanza secondario: l’alga è indice di un ambiente sporco o che non riesce a funzionare alla perfezione, e il fatto che un ipotetico quanto non identificato veleno naturale ne impedisca o rallenti la crescita non migliora la situazione: spazzare la polvere per nasconderla sotto il tappeto non renderà la nostra stanza più pulita e salubre, ma ne darà solo una parvenza. Andremo di seguito a fare luce sulle reali cause dell’insorgenza delle alghe, a contrastare alcuni dei miti sulle possibili soluzioni, e i principali metodi, spesso e volentieri assolutamente a portata di tasca, che possono contrastarne la crescita.

È inoltre da sottolineare che di seguito non andremo a considerare i vari phylum algali: le cause della loro insorgenza sono grosso modo sempre le stesse e le soluzioni da applicare sono efficaci ugualmente per tutti i tipi di alghe, diatomee a parte. Quelle che proporremo saranno le soluzioni alle cause della crescita e della proliferazione algale, mentre per la rimozione delle alghe già cresciute, i metodi già conosciuti, come rimozione meccanica, acqua ossigenata e glutaraldeide, resteranno sempre validi. La differenza sarà tra distruggere un’alga ferma o in crescita estremamente lenta, e un’alga sana che rilascia un gran numero di spore in un ambiente che ne favorirà l’attecchimento.

2. Il ciclo del carbonio e l’ossigeno: questo sconosciuto

La maggior parte degli acquariofili non è consapevole che le piante acquatiche rilascino in acqua un gran numero di prodotti della fotosintesi (fotosintetato). Si è naturalmente portati a pensare che il flusso di sostanze chimiche sia a senso unico, mentre le piante interagiscono con l’ambiente che lo circonda molto più di quanto sembri.

Una grande quantità di zuccheri e altri carboidrati e varie altre sostanze nutritive vengono rilasciati dalle piante allo scopo di alimentare alcuni batteri, che a loro volta sono fondamentali per lo sviluppo regolare della pianta, ad esempio convertendo minerali come il ferro in forme assimilabili dalla pianta stessa.

Si crea in tal modo un ciclo chiuso in cui la pianta fornisce zucchero (e quindi energia) ai batteri che in cambio forniscono CO2 ed altri nutrienti alla pianta. Quindi c’è un circolo di carbonio che passa dalla pianta al batterio, che lo ossida in biossido di Carbonio (CO2) per il suo metabolismo, proprio come facciamo noi respirando.

Quello che spesso non teniamo in conto, però, è che affinchè i microrganismi possano ossidare queste sostanze e utilizzarle, serve un ossidante, che in biologia è tipicamente l’ossigeno gassoso. È spesso la carenza di questo elemento, non per forza in tutta la vasca ma anche solo in una piccola parte di essa, a scatenare l’insorgenza di alghe.

In mancanza di ossigeno, alcuni batteri e lieviti potrebbero morire, ma altri, riescono ad adattarsi abbandonando il metabolismo ossidativo per favorire invece la fermentazione, una via metabolica in cui un organismo riesce ad ottenere energia da una molecola ossidandone una parte e riducendone un’altra.

Se il prodotto di scarto del metabolismo ossidativo è solo anidride carbonica ed acqua, per quanto riguarda invece la fermentazione oltre alla CO2 c’è la possibilità di formare altre sostanze (alcol, acidi carbossilici, aldeidi, ammoniaca ed altri composti) che possono andare a risvegliare le spore algali dormienti, arrivate in acquario da una qualsiasi forma esterna.

Questo avviene sia nei nostri acquari che nei grandi bacini e corsi d’acqua, ma con una fondamentale differenza: i grandi serbatoi e corsi d’acqua consentono la dispersione di questo fotosintetato nell’intero volume, mentre in acquario queste sostanze si accumulano e raggiungono concentrazioni molto maggiori, specialmente nelle zone in cui il movimento d’acqua sia scarso o nullo.

L’insorgenza dell’alga, specialmente se parliamo di alghe nere a pennello, è ancor più amplificato rispetto al caso naturale o dell’acquario prettamente di piante. L’eccesso di mangime, in alcuni casi estremamente proteico per favorire colore e crescita degli ospiti, è tra le principali cause scatenanti.

Tornando al caso naturale, il materiale accumulato in questo modo sulla superficie delle foglie, assieme allo strato di batteri che se ne nutre, agisce come una barriera che impedisce l’efficace assorbimento delle sostanze nutritive, della luce e dell’anidride carbonica. La pianta smetterà quindi di produrre fotosintetato, fermando la crescita dei batteri, che quindi porteranno meno nutrienti alla pianta, in un vortice che causerà un tracollo del microhabitat che si era andato a creare. In questo punto, si crea l’ambiente ideale alla crescita delle alghe, specialmente filamentose.

È questo il classico caso delle Anubias o altre piante a crescita molto lenta poste sotto luce intensa con poco flusso d’acqua. Basterà aumentare il flusso d’acqua sulla pianta, e diminuire un po’ la luce per arrestare la crescita dell’alga, e rimuovere quella già cresciuta con i mezzi a nostra disposizione.

Un interessantissimo resume di Marcel Golias ha portato alla luce che, misurando il carbonio organico disciolto in vasche diverse, anche con quantità di azoto e fosforo molto comparabili, le alghe si sviluppassero solo dove la quantità di carbonio disciolto superava i 5 mg/l.

Allo stesso modo, non risulta congruente collegare la unica presenza del nitrato e del fosfato in acqua con alcune prove effettuate da Tom Barr con il suo Extimative Index: il famoso acquariofilo americano è riuscito a portare avanti una vasca di grandi dimensioni con concentrazioni di nutrienti minerali dieci volte superiori al necessario e forte illuminazione senza l’ombra di un singolo filamento. Questo ci aiuta a capire che fertilizzare con nutrienti inorganici come nitrato e fosfato, o la loro semplice presenza, non ha alcun impatto apprezzabile sulla crescita delle alghe, o quantomeno sul loro avvento.

Ma allora, potreste domandarvi, perchè non andiamo a misurare il carbonio organico disciolto in acqua in maniera diretta? I motivi sono molteplici. Non esiste un metodo generale sicuro, veloce e atossico da utilizzare in casa con reagenti in boccetta. Esistono delle sonde elettroniche che effettuano letture anche in continuo, ma il costo di esse è abbastanza importante e la lettura sarà influenzata non solo da amminoacidi, zuccheri e acidi carbossilici facilmente assimilabili, ma anche dai polifenoli che vengono aggiunti con le foglie di catappa, pigne di ontano, o rilasciati semplicemente dai legni. Queste molecole sono difficilmente degradabili da parte dei microrganismi e non sono utili ad una cellula dal punto di vista energetico, quindi possono persistere in acqua per molto tempo. La lettura diretta del carbonio disciolto, in poche parole, non è applicabile a tutti i casi, o comunque non è particolarmente indicativa. L’importante, però, è sapere che se si iniziano a vedere delle alghe in vasca, vorrà dire che in quella zona o in tutto l’acquario è presente un eccesso di carbonio organico, e che basterà aumentare il movimento d’acqua nella zona colpita o “ripulire” l’acqua per contrastarlo.

Alla luce di ciò, si presenta quindi superfluo effettuare misure di nitrato e fosfato in presenza di alghe: il problema è davanti ai nostri occhi e il modo di risolverlo prescinde dal semplice valore dell’azoto, che è un metodo di lettura indiretta.

La lettura di questi valori, una volta stabilizzato il sistema, può tuttavia tornare utile per ottimizzarlo secondo le leggi di Liebig e quindi ottenere una fertilizzazione adeguata.

3. Mixotrofismo: ancora più sconosciuto

È riconosciuto da tempo[1], ma comunque non conosciuto dai più, che alcune alghe, o comunque organismi considerati tali dagli hobbisti, siano mixotrofe, ovvero che siano in grado di sfruttare per la loro crescita sia la fotosintesi sia delle molecole semplici, come glucosio, acido acetico, acido lattico ed amminoacidi, che sono tra i principali costituenti del fotosintetato. Se questo è vero per alcuni protisti[1], lo è anche per alcune alghe verdi[1][2] e diatomee[3] ed alghe rosse, come le bba[4].

Sebbene i batteri eterotrofi beneficino del fotosintetato delle piante quanto di quello delle alghe, i casi in cui i due organismi vanno in competizione sono molto più elevati di quelli in cui l’associazione porta benefici ad entrambi[5].

I batteri, infatti, si riproducono molto più facilmente delle alghe, ed essendo più piccoli riescono anche ad occupare più superficie. Per tali motivi, essi sono considerati i migliori competitori delle alghe per quanto riguarda l’assorbimento dei nutrienti. Prove di colture miste, ovvero di alghe e batteri nello stesso mezzo, hanno infatti dimostrato che i batteri sono in grado di assorbire dal 97 al 100% della quantità di fosfati disponibile, almeno nelle prime fasi, tagliando completamente fuori le alghe dalla competizione per i nutrienti, e quindi dalla crescita.

Allora, direte voi, perchè associamo l’eccesso di nitrato o di fosfato all’insorgenza delle alghe? La pratica di andare a leggere la quantità di macroelementi in acqua non è sbagliata in sè, perchè soprattutto dove questi non vengano aggiunti con il protocollo di fertilizzazione, azoto e fosforo saranno unicamente di natura biologica, ovvero saranno prodotti unicamente dall’accumulo di mangime in eccesso, foglie morte, escrementi di pesci, flora batterica morta. Sono infatti questi, assieme ai “fanghi batterici” che si accumulano tra i cannolicchi e le spugne del filtro, a portare i maggiori problemi: una volta che questo materiale andrà in decomposizione, rilasciando amminoacidi e carboidrati in acqua, dove non arriveranno i batteri, arriveranno le alghe.

Ciò che conta sapere a tal punto, però, è che le alghe non sono fatte di solo azoto e fosforo, ma soprattutto da carbonio. Rapportando il peso dello ione nitrato alla percentuale di azoto mediamente contenuta in una proteina, questo vorrà dire che il valore del carbonio organico, solo di origine proteica, prodotto sarà del 40% superiore. A questo andrà aggiunto poi il carbonio di origine lipidica e da carboidrati, si otterrà grosso modo il doppio, ma anche di più, di carbonio organico dissolto in acqua in quantità.

Le grandi quantità potrebbero fare in modo tale che i batteri eterotrofi non ce la facciano ad assimilare tutto, e la quantità in eccesso potrà favorire la germinazione delle più lente alghe.

4. Luce ed alghe: il vero funzionamento

“Ma cambiando le luci a me sono finite le alghe, come mai?” è un altro dei temi di cui spesso ci si ritrova a disquisire. Si, cambiare le luci può avere un effetto. Non tireremo in ballo l’assorbimento delle ficocianine, ficoeritrine e ficobiline: una lampada esausta emette semplicemente un flusso luminoso minore, ma non cambia la lunghezza d’onda dei picchi di emissione. Se pure lo facessero, anche le piante producono una certa quantità di carotenoidi in grado di assorbire energia ed immetterla nel metabolismo oltre alla clorofilla.

“Ma a me ha funzionato…” Certo, certo che può funzionare! Se i tubi a fluorescenza emettono meno luce, le piante riceveranno meno luce, produrranno meno fotosintetato, quindi la flora batterica che si era sviluppata calerà, ma calando produrrà del carbonio disciolto, e ci saranno meno batteri a “digerirlo”, quindi l’alga potrà tranquillamente stanziarsi. Riattivare il giusto equilibrio piante-batteri può tagliare fuori l’alga dalla possibilità di germinare.

Alcuni studi[2][4][5] riportano inoltre che in presenza di meno luce, l’assorbimento di nutrienti organici da parte delle alghe viene aumentato in maniera esponenziale. L’aumento della quantità di luce, al contrario, ne rallenta l’assorbimento. In sostanza, l’alga è ben contenta di assorbire queste semplici molecole organiche anche al buio, ma in presenza di luce la fotosintesi rallenterà l’assorbimento. Diminuire la quantità di luce, in questi casi, senza “ripulire” l’acqua dall’eccesso di sostanza organica, vorrà dire non cambiare assolutamente nulla.

Allo stesso modo, l’aumento repentino della quantità di luce (come nel passaggio da tubi a fluorescenza a LED, o nel caso di potenziamento del parco luci) può portare un aumento improvviso del fotosintetato prodotto dalla pianta, in maniera tale che la flora batterica che si era stanziata fino a quel momento non riesca a smaltire tutto. E a quel punto l’alga può approfittarne.

Sappiate comunque che la luce non è sempre la reale causa, o almeno non lo è mai direttamente.

5. Risolvere il problema, realmente

Chiunque abbia frequentato il gruppo per qualche giorno, non avrà fatto a meno di notare che consiglio l’utilizzo di carboni attivi in quantità impressionanti.

Il carbone attivo, infatti, serve a rimuovere proprio il carbonio organico disciolto in acqua, in tutte le sue forme, e non è utile solo dopo trattamenti con medicinali, ma anche a “ripulire” l’acqua dagli accumuli organici che si formano col tempo.

L’utilizzo di un sacchetto di carbone nel filtro due/tre volte l’anno, in concomitanza con la pulizia del filtro e la regolare aspirazione dei detriti dal fondo ai cambi d’acqua, aiuteranno parecchio a contrastare l’insorgenza delle antiestetiche alghe, o a fermarne l’avanzamento, una volta che si siano già stanziate in vasca. Il segreto è tenere l’ambiente pulito.

In presenza di una invasione algale conclamata, pulire tutto il materiale filtrante e immettere carbone, e aumentare la frequenza e la quantità dei cambi d’acqua è l’unica soluzione efficace alla causa, oltre alla possibilità di poter aumentare il movimento all’interno della vasca (anche tramite pompe di movimento) e quindi favorire una omogenea ossigenazione dell’intero sistema.

Per le alghe già formate, qualsiasi trattamento “cosmetico” per la rimozione sarà efficace. Se l’utilizzo di alghicidi è efficace ma poco consigliabile per i possibili effetti collaterali che i principi attivi hanno sulla salute anche a lungo termine della fauna, trattare i punti colpiti con acqua ossigenata o glutaraldeide, o se possibile rimuovere le foglie colpite in maniera meccanica saranno tutti egualmente efficaci.

Per pietre e legni, qualora si volesse velocizzare la pulizia, basterà porli per 10 minuti in acqua bollente e spazzolarli dopo per eliminare sia le alghe che le spore.

6. Bibliografia

[1] A. H. Neilson and R. A. Lewin (1974) The uptake and utilization of organic carbon by algae: an essay in comparative biochemistry. Phycologia: September 1974, Vol. 13, No. 3, pp. 227-264.

[2] Utilisation of leucine by several phytoplankton species Norbert Kamjunkea, , Jo ̈ rg Tittelb. Limnologica – Ecology and Management of Inland Waters Volume 38, Issues 3–4, 22 October 2008, Pages 360–366

[3] Darley, W. M., Ohlman, C. T. and Wimpee, B. B. (1979), UTILIZATION OF DISSOLVED ORGANIC CARBON BY NATURAL POPULATIONS OF EPIBENTHIC SALT MARSH DIATOMS1. Journal of Phycology, 15: 1–5.

[4] Tyler, Anna Christina, Karen J. McGlathery, and Stephen A. Macko. “Uptake of urea and amino acids by the macroalgae Ulva lactuca (Chlorophyta) and Gracilaria vermiculophylla (Rhodophyta).” Marine Ecology Progress Series 294 (2005): 161-172.

[5] Steven T. Rier & R. Jan Stevenson. Effects of light, dissolved organic carbon, and inorganic nutrients on the relationship between algae and heterotrophic bacteria in stream periphyton. Hydrobiologia 489: 179–184, 2002.

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