Avvio di un acquario: biochimica della vasca

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Avvio di un acquario: biochimica della vasca

1. L’avvio

Essendo di formazione un chimico, non posso non vedere il sistema acquario come una grande reazione chimica, e come in tutte le reazioni, all’inizio c’è una situazione più o meno tumultuosa che necessita di trovare un equilibrio. Ma cosa succede nella fase di avvio di un acquario?

Salteremo in questo articolo la scelta di filtro e materiali filtranti, che tratteremo in altri articoli in maniera più articolata, e passeremo direttamente all’allestimento.

Iniziamo immettendo il fondo, le rocce, i legni e magari anche le piante. Ognuno di questi elementi non può essere considerato nè pulito nè tantomeno sterile, e quindi porta con sè una certa carica, talvolta piccola, di materiale solubile: sali, acidi grassi, materiale proteico o comunque organico. Questa piccola quantità di materia verrà dissolta nel momento in cui andremo ad aggiungere l’acqua, creando un sistema rigoglioso per la crescita dei batteri. In realtà la chimica in acquario soprattutto nelle prime fasi successive all’allestimento è molto influenzata dalla microbiologia dell’acquario, ovvero a tutto l’insieme di batteri e microrganismi che si svilupperanno nei giorni successivi all’inserimento dell’acqua. Senza di loro, la comprensione di ciò che avviene in vasca sarebbe abbastanza più lineare. E molto più noiosa, per certi versi.

Una piccola nota a margine: in questo articolo prenderemo in considerazione quello che avviene a livello unicamente batterico, ma un acquario è un sistema molto più complesso e, in seguito alla comparsa dei batteri, insorgono anche altri microrganismi, i protozoi, di cui non discuteremo di seguito.

2. I batteri eterotrofi e il ciclo del carbonio

In presenza di acqua, temperatura, condizioni di acidità e potenziale ossidoridottivo idonee, e in presenza di sostanza consumabile, i batteri possono iniziare a proliferare.

Quando parliamo di batteri dobbiamo sempre distinguere due tipologie diverse di essi, distinti in base al loro metabolismo: eterotrofi ed autotrofi. Gli organismi eterotrofi (come noi) non riescono a produrre tutto ciò che gli serve da soli, e necessitano quindi di raccoglierlo dall’esterno. In sostanza, sono organismi che “mangiano”, e sono di notevole importanza in acquario, pur non catalizzando l’attenzione quanto gli autotrofi, che invece sfruttano energia di fonti esterne ad esempio la luce per fare fotosintesi (fotoautotrofi, come i cianobatteri o le alghe), ad esempio, o l’energia chimica derivante dall’ossidazione o riduzione di determinate molecole inorganiche per completare il proprio metabolismo (chemoautotrofi).

In questa seconda categoria rientrano i famosi batteri nitrificanti del filtro: Nitrosomonas, Nitrobacter e Nitrospira. Le due categorie di microrganismi che abbiamo appena descritto sfruttano  due strategie metaboliche diverse e in un certo senso complementari: se gli eterotrofi non “mangiassero”, non produrrebbero l’ammoniaca, che è invece di vitale importanza per gli autotrofi.

I due tipi di batteri presentati sono molto diversi, non solo per metabolismo ma anche per morfologia e velocità di crescita: gli eterotrofi infatti ricevendo dei “mattoni” per la crescita dall’esterno già pronti riusciranno a riprodursi in maniera molto più rapida degli autotrofi. Basti pensare che le colonie di alcuni batteri eterotrofi (l’Escherichia coli, nome conosciuto ai più ne è un ottimo esempio) nelle condizioni ideali riescono a raddoppiare in numero in soli 20 minuti. Non è il caso proprio dell’acquario, ma una flora batterica eterotrofa può considerarsi quasi completamente instaurata nel giro di una settimana dall’immissione dell’acqua in vasca.

Questo tipo di batteri, inoltre, ha dimensioni molto maggiori degli autotrofi, e difficilmente si ritrova sessile (ossia attaccato a qualche supporto), al contrario dei batteri nitrificanti che invece hanno bisogno di restare attaccati a qualcosa. Una volta instaurata la flora batterica eterotrofa, i pochi batteri nitrificanti presenti possono iniziare a proliferare a loro volta, sfruttando due reazioni di ossidazione: quella dell’ammoniaca a nitrito, e successivamente quella del nitrito a nitrato.

Starete pensando molto probabilmente che siamo partiti a parlare di chimica e ci ritroviamo a parlare invece di microbiologia. Il punto è che le due materie sono molto correlate, perchè i batteri eterotrofi consumano materiale organico e ossigeno producendo anidride carbonica, e trovando molto spazio, e relativamente anche molta materia da consumare, crescono di numero molto rapidamente, fino a trovare un equilibrio perfetto tra il numero di esemplari che nascono e quelli che muoiono.

Ma cosa fanno esattamente questi batteri eterotrofi? Come noi, mangiano sostanza organica, ovvero acidi grassi, carboidrati, amminoacidi e, rispetto a noi, anche un po’ di idrocarburi, se ne trovassero, e la ossidano utilizzando l’ossigeno disciolto nell’acqua, producendo anidride carbonica.

L’anidride carbonica così prodotta potrà in seguito essere sfruttata da altri organismi, come le piante o le alghe, che la trasformeranno sfruttando la luce nuovamente in ossigeno e sostanza organica, che potranno successivamente rimettere in circolo e riavviare così il ciclo. Piccola nota a margine: per molti acquariofili il ciclo dell’azoto è la bibbia: dove si accumulano nitriti e ammoniaca qualcosa non va, ma non si capisce come mai spesso molti problemi si riscontrino ugualmente in vasche con quantità di azoto totale molto basse… E questo avviene perchè il ciclo del carbonio, vitale quanto e forse più di quello dell’azoto, è ai più sconosciuto!

3. Crescita e ciclo vitale di una colonia batterica

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Tipico esempio di curva di crescita batterica

Quella che vedete in figura è una tipica curva di crescita batterica, in cui viene riportato in ordinata il numero di cellule batteriche, e in ascissa il tempo trascorso dall’inizio dell’inoculo. Qualsiasi popolazione batterica cresce e prospera seguendo una curva di questo genere, che andremo ad analizzare in ogni suo frammento. Nella fase iniziale (lag phase), i batteri devono ancora “organizzarsi” a dovere e adattarsi al nuovo ambiente, e la crescita sarà praticamente nulla.

Una volta adattatisi, seguirà una fase di crescita esponenziale (log phase) in cui le cellule inizieranno a sdoppiarsi a dismisura, fino a raggiungere un punto di equilibrio (stationary phase) in cui il numero resta costante: le condizioni sono tali per cui per ogni cellula che nasce, ce n’è una che muore.

Una volta che la sostanza consumabile (il cibo) inizia a scarseggiare, l’equilibrio sarà spostato nuovamente, stavolta a favore delle morti più che delle nascite (death phase), in cui il numero di cellule vive diminuisce.

La curva, però, mostra quello che avviene in una coltura di laboratorio, un sistema chiuso in cui il “cibo” finirà per forza, prima o poi. In acquario le cose sono diverse: piante e pesci, oltre che gli eccessi di cibo (spesso la causa dei problemi è di fronte all’acquario, non dentro), forniranno sostentamento ai batteri per mantenere più o meno costante il numero e scongiurare la death phase. Grossi eccessi di cibo, o l’accumulo di fanghi sul fondo e nel filtro, fornisce una fonte di sostanza consumabile tale da dare addirittura spazio a nuove log phase, in cui il numero aumenta di molto.

4. Il potenziale ossidoriduttivo nella fase di avvio

Il potenziale ossidoriduttivo in acquario è un valore che indica un bilancio tra la quantità di sostanza che in acquario può essere ossidata, e in questo caso parliamo di sostanza organica, e ferro bivalente come quello fornito dal Seachem Flourish Iron e le sostanze ossidanti, che in natura e quindi in biologia corrispondono alla quantità di ossigeno presente nell’ambiente. Più è alto il valore del potenziale, maggiore sarà la quantità di ossigeno presente.

Valori troppo alti di potenziale sono dannosi per la flora batterica e le alghe: nelle piscine l’uso dell’ipoclorito è comune proprio perchè fa in modo tale da uccidere la maggioranza dei batteri e delle alghe che normalmente si verrebbero a formare in una massa d’acqua in relativa quiete. Valori troppo bassi fanno invece in modo tale che i batteri smettano di utilizzare l’ossigeno per il proprio metabolismo e favoriscano altre vie metaboliche, come la fermentazione. Se questo dovesse avvenire, l’acquario assumerà un odore sgradevole, che va dall’uovo marcio a quello dell’aceto, a causa della formazione di acidi organici e acido solfidrico. Se queste condizioni prevalgono nell’intera vasca, le piante e i pesci sopravviveranno con grande difficoltà. Il trucco dell’acquariofilia è quello di mantenere un valore di potenziale ottimale, che va dai +280 ai +420 mV. Non è necessario misurare questo valore, ma è sufficiente osservare la vasca e, in presenza di un problema, essere coscienti che spesso questo è dovuto al potenziale, che in condizioni normali tende sempre a scendere sotto il valore limite.

Tornando alla curva di crescita microbica, nella fase di crescita esponenziale c’è una grande richiesta di “cibo” e conseguentemente anche di ossigeno. Nel linguaggio tecnico si dice che aumenta la BOD (Biochemical Oxygen Demand, ovvero la richiesta biochimica di ossigeno), e di conseguenza il potenziale di ossidoriduzione, verrà a calare. In queste fasi della maturazione, qualora il filtro non riuscisse a tamponare sufficientemente con la quantità di ossigeno la quantità di materia organica.

Calando in questi frangenti il redox a livelli decisamente bassi per gli standard di un acquario “sano”, possono avvenire altre reazioni, come ad esempio la solubilizzazione del ferro, sempre presente in ingenti quantità nei fondi argillosi ma insolubile, e quindi la possibile comparsa di alghe filamentose, o la precipitazione del rame, o la solubilizzazione di piccole quantità di cobalto, metallo di vitale importanza per i cianobatteri, che talvolta purtroppo accompagnano proprio la fase iniziale della maturazione… Insomma lo startup è un momento tumultuoso dal punto di vista chimico, ma quasi tutto quello che succede chimicamente è causato unicamente dai batteri, che rimuovono l’ossigeno dal sistema. Ed è l’ossigeno l’elemento che viene sempre a mancare in fase di maturazione, in realtà.

Inserire pesci in questa fase della maturazione pone a serio rischio la salute e la vita degli stessi: in questo frangente l’ossigeno scarseggia, e quindi non sarà facile per gli animali trovarne a sufficienza per sopravvivere, o comunque per mantenere alte le difese immunitarie. Allo stesso tempo in questo frangente la quantità di batteri presenti nell’acqua può essere molto superiore di quella che sarà all’equilibrio e vari generi di batteri, normalmente presenti in acqua, potranno iniziare ad attaccare anche gli animali più debilitati. Questa cosa può avvenire in realtà in qualsiasi momento della vita dell’acquario nel momento in cui la quantità di sostanza di scarto accumulata sia sufficiente a fare proliferare i batteri più del dovuto, ed è quindi per questo, più che per l’accumulo dei nitrati in sè, che la pratica di regolari cambi d’acqua è necessaria.

Chi avviando una vasca non ha mai notato un giorno o una settimana dopo che l’acqua non fosse più limpida, ma anzi, lattiginosa? Ormai questo fenomeno è noto ai più come “esplosione batterica”, ma noi ora possiamo identificarlo semplicemente come “log phase”. Bene, sappiate che si tratta dei batteri eterotrofi, ma anche di lieviti, liberi di “nuotare” e andare a cercare l’ossigeno dove ne hanno più bisogno, in alto.

L’elevato numero intorbidisce l’acqua, ma nel giro di pochi giorni, quando i batteri avranno consumato la maggior parte della sostanza organica, o dell’ossigeno, il loro numero diminuirà fisiologicamente (death phase) da solo fino a raggiungere un equilibrio stabile (stationary phase), che ogni acquariofilo auspica di mantenere per tutta la vita della vasca.

Ci terrei inoltre a specificare che inserendo subito piante e qualche legno, ma anche solo toccando un po’ il vetro con le mani si offre ai batteri una quantità sufficiente di materiale su cui andare a lavorare. Può risultare utile, ma non assolutamente necessario, mettere una o due scaglie di mangime per pesci, ma l’inserimento delle piante già all’istante iniziale fornirà materiale organico in quantità e qualità insuperabili per l’instaurazione della flora batterica.

L’utilizzo di integratori batterici, spesso consigliato da parte dei negozianti, può tornare utile ad accelerare leggermente i tempi di maturazione, e a selezionare alcuni ceppi batterici, ma in linea generale non è assolutamente imprescindibile come viene fatto passare.

5. Nitirificazione e il ciclo dell’azoto

Come abbiamo avuto modo di anticipare, gli eterotrofi scompongono la materia organica, che è composta principalmente di carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto, trasformando il tutto in acqua, anidride carbonica, e ammoniaca. E qui entra in gioco il filtro.

ciclo azoto
Curva di maturazione di un filtro, fonte: http://africanriftlakecichlids.blogspot.it

Perchè è importante filtrare? L’ammoniaca è una specie chimica in grado di legarsi all’emoglobina, la proteina del sangue che trasporta l’ossigeno alle cellule, non solo, ma il legame che si verrà a formare sarà molto più forte del normale legame ossigeno-emoglobina. Questo vorrà dire che una volta legatasi, la proteina sarà disattivata e non svolgerà più la sua funzione. Una volta che un gran numero di molecole di emoglobina saranno disattivate in questo modo, il pesce soffocherà. Il meccanismo è lo stesso che causa le intossicazioni da monossido di carbonio nell’uomo, un esempio che ci aiuta a capire ed è più di attualità.

Il sistema nitrificante è in grado di trasformare l’ammoniaca, che nei primi giorni di maturazione si accumula oltre il livello di allarme , in nitrito. Anche i nitriti sono tossici per gli animali, compreso l’uomo, allo stesso modo in cui lo è l’ammoniaca. Il legame tra il nitrito e l’emoglobina è però meno forte di quello con l’ammoniaca, e quindi anche la soglia di stress da nitrito sarà più alta, per quanto sarà sempre bene tenere i valori di questa specie chimica a 0 o nell’intorno, una volta raggiunta la maturazione.

I nitriti saranno poi trasformati dal sistema nitirifcante in un’altra specie chimica, il nitrato, che è di gran lunga meno tossico delle due precedenti specie.

Come si chiamano questi batteri nitrificanti, però? Nitrosomonas e Nitrobacter! Risponderanno i meglio informati. Avremo modo di capire però che questi due generi non sono i soli che ci aiutano nella nitrificazione.

Nitrosomonas e Nitrobacter sono due generi di batteri, comprendenti numerose specie, e sono tra i principali protagonisti dei nostri filtri per il ciclo dell’azoto. O quasi.

Il genere Nitrosomonas, infatti, è il principale responsabile in vasca della trasformazione dell’ammonio (prodotto dai batteri eterotrofi di cui abbiamo parlato prima) in acido nitroso (e quindi in nitrito). Si tratta di batteri chemolitotrofi, ossia “costruiscono” in casa le proprie riserve di energia, come le piante fanno con la fotosintesi, sfruttando l’energia chimica derivante dall’ossidazione dell’azoto ammoniacale in nitriti.

L’energia così ottenuta è utilizzata per trasformare l’anidride carbonica in sostanze di riserva. Come possiamo notare dalla curva di maturazione riportata sopra, la loro attivazione avviene nei primi giorni dell’avvio, si completa in poco meno di due settimane e continua per tutta la vita dell’acquario, salvo imprevisti. Alcune ricerche recenti condotte su alcuni canali reflui inquinati hanno dimostrato che questo genere di batteri è in grado di degradare e detossificare anche molecole organiche persistenti oltre che dannose per l’ambiente, come trielina e benzene.

Il genere Nitrobacter, invece, anch’esso composto da una grande quantità di specie diverse, è erroneamente ritenuto il principale responsabile della trasformazione dei nitriti in nitrati. Questo genere di batteri, infatti, rinvenuto nel terreno un po’ ovunque ci sia umidità, è di vitale importanza per tutte le piante, terrestri e non, dato che arricchisce il terreno in forme di azoto facilmente assimilabili dalle radici, ed è anche il genere che viene spesso inoculato negli starter batterici commerciali, ma il merito della stabilità della vasca una volta raggiunta la maturazione non è solo suo!

I Nitrobacter infatti sono dei batteri mixotrofi, ovvero sono in grado di sfruttare l’ossidazione del nitrito in nitrato per accumulare energia, ma sono al contempo in grado anche di effettuare in una certa misura il metabolismo aerobico dei batteri eterotrofi, il che lo rende in un certo modo meno efficiente soprattutto quando il filtro  inizia a sporcarsi e la quantità di carbonio organico a disposizione inizia a raggiungere quantità importanti, e non solo!

I Nitrobacter, infatti, sono anche in grado, in condizioni di mancanza di ossigeno, di reperirne una certa quantità proprio dallo ione nitrato, ritrasformandolo a sua volta in nitrito. In più, la “soglia di lavoro”, ovvero la concentrazione minima a cui iniziano ad ossidare il nitrito in nitrato è piuttosto alta. Insomma, il Nitrobacter è una bugia, o quasi. Questo genere infatti è il primo ad instaurarsi nel nostro filtro nel periodo del famoso picco dei nitriti, ovvero il momento in cui i Nitrosomonas iniziano a lavorare sodo, quindi una ventina di giorni dopo l’avvio e ottimizzano la loro attività nel giro di altri 20-40 giorni.

La differenza tra le velocità di instaurazione è dovuto proprio al diverso metabolismo tra gli eterotrofi, che ricevono le riserve di energia già “pronte”, i Nitrosomonas che invece le costruiscono in casa sfruttando una reazione, quella da ammonio a nitrito, che muove cinque elettroni per molecola, e quella dei batteri che trasformano il nitrito in nitrato, che invece riescono a sfruttare solo due elettroni per molecola, quindi una quantità di energia molto inferiore.

Non è difficile comprendere quindi che se l’efficienza dei primi è pari a quella dei secondi, i secondi impiegheranno comunque più del doppio del tempo a ricevere lo stesso quantitativo di nutrimento.

Un terzo genere di batteri scoperto più di recente (1998), il genere Nitrospira, è invece il vero nitrificante di una vasca avviata. Si tratta di batteri nitrificanti anch’essi, ma molto meno flessibili nel loro metabolismo rispetto ai Nitrobacter, e quindi anche più efficienti nella captazione del nitrito. Il che vuol dire che gli è sufficiente una concentrazione minore di nitrito per cominciare a lavorare sul serio. Si tratta però di una specie ancora più lenta a cominciare a riprodursi, per cui la effettiva instaurazione richiederà ancora più tempo, ma che pian piano andrà a scalzare i Nitrobacter, se il carico organico dell’acquario, ovvero la quantità di pesci, di immondizia sul fondo, fanghi nel filtro e residui di cibo in eccesso, non è eccessiva.

Il processo di nitrificazione è influenzato da vari fattori. I batteri infatti crescono se gli vengono fornite le giuste condizioni di nutrimento, potenziale di ossidoriduzione, pH e temperatura, ma anche altri parametri concorrono in maniera più o meno importante. Una volta instaurate le giuste condizioni, qualsiasi alterazione di esse può alterare in maniera più o meno drastica il suo funzionamento.

Fortunatamente le varie specie di batteri nitrificanti riescono a lavorare più o meno efficientemente in condizioni di pH che variano da 6 a 9, ma è importante che il pH resti il più stabile possibile per evitare che la specie che si seleziona naturalmente nel filtro non vada in sofferenza. Allo stesso modo, tenendo pulito il filtro, e quindi garantendo un ideale afflusso di ossigeno e quindi di condizioni ossidoriduttive stabili, se ne favorisce il corretto mantenimento.

6. I cambi d’acqua

Chiudiamo con delle piccole considerazioni sui cambi d’acqua, in particolare sulla qualità dell’acqua da usare e sulla frequenza stessa dei cambi.

La linea guida di Acquario Chimica e Tecnica è quella di consigliare sempre cambi con acqua di osmosi inversa (acquistabile in negozio a poco prezzo) remineralizzata con sali opportuni, commerciali o fai da te. Questa scelta deriva, oltre che dalla maggiore sicurezza riguardante la qualità costante dell’acqua così prodotta, anche dalla qualità delle acque di rubinetto in Italia.

Sebbene esistano luoghi, soprattutto in prossimità delle alpi e delle dolomiti, in cui gli acquedotti forniscano delle acque eccellenti per l’uso diretto in vasca, nel resto d’Italia la tendenza è quella di avere acque troppo dure e cariche di sali per incontrare le richieste dei pesci tropicali comunemente venduti.

Diluire l’acqua di rubinetto con acqua di osmosi è una idea altrettanto percorribile, ma non garantisce la qualità dell’acqua prodotta: perdite e infiltrazioni nelle tubazioni, oltre che rilascio di metalli pesanti (rame, talvolta piombo nelle case vecchie, zinco e arsenico) può portare a lungo termine problemi non indifferenti alla salute dei pesci, anche utilizzando biocondizionatori, che sono in grado di neutralizzare tali specie chimiche solo per un periodo di tempo limitato. Da contare inoltre che il prezzo di un pacco di sali commerciali per ricostruire l’acqua di osmosi supera di pochi euro quello di una bottiglia di biocondizionatore.

Molte città, inoltre, vengono rifornite nel corso dell’anno da acquedotti diversi, e può capitare di avere valori oscillanti anche di molto da un mese all’altro.

Non potendo conoscere la qualità effettiva delle acque di rubinetto, Acquario Chimica e Tecnica consiglia vivamente l’utilizzo di una buona acqua di osmosi opportunamente ricostruita per i cambi d’acqua.

Ma ogni quanto va cambiata l’acqua?

La risposta corretta è: il giusto. Il che vuol dire tutto e nulla: non c’è una quantità standard esatta da cambiare ogni tanto, e ogni sistema è diverso dagli altri. Sta all’osservazione del proprietario capire quanto e ogni quanto bisogna intervenire per bilanciare il carico organico della vasca. E vale sempre la regola: meglio uno in più che uno in meno.

Da un punto di vista matematico, invece, fate conto di avere 10 mg/litro di nitrati, e di voler cambiare il 30% del volume della vasca a settimana, e consideriamo il caso che l’acquario produca 3mg/litro di nitrato a settimana. Da 10 scenderemo a 7, e la settimana successiva ci ritroveremo con 10 mg/litro nuovamente. Cambiando il 50% ogni 2 settimane, scenderemo da 10 a 5, risalendo infine a 11 nelle due settimane successive. Non un dramma, ma alla lunga si andrà a creare un accumulo.

A questo punto un modo corretto di affrontare il tema è: se consideriamo che la nostra vasca sia in buono stato di salute nel momento in cui andiamo ad effettuare un cambio d’acqua, dopo di esso si misura la quantità di nitrati. Si attende una settimana, o comunque il periodo prefissato per il nuovo cambio, si ripete il test e si stima la differenza. In questo modo avremo una stima della quantità di sostanza organica che viene disciolta in acqua. Se i nitrati fossero stati 5 mg/litro dopo il cambio, e fossero arrivati a 6 mg/litro prima del cambio successivo, dovremmo effettuare un cambio di almeno 1/6 del volume per mantenere l’equilibrio organico.

Il periodo di tempo tra un cambio e l’altro comunque deve essere ragionevolmente breve da evitare accumuli. Ma qui intervengono molti fattori da considerare, come la quantità di animali, il tipo di fertilizzazione, la quantità di cibo somministrato, le razze animali… Insomma, ogni acquario è un discorso a sè. Diffidate di chi generalizza.

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