La “CO2 liquida” in acquario: uno sguardo (super)critico alla glutaraldeide e affini

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Da chimico, negli ultimi 5 anni mi è capitato più volte di confrontarmi con il tema della “COliquida” in acquario. Il tema, per chiunque abbia anche una infarinatura generale di chimica, suscita molta curiosità in un primo momento e fa venire la pelle d’oca quando poi si viene a capire di cosa si tratta. Ma andiamo con ordine.

 

Carbonio liquido per acquario: che cos’è realmente?

Il mondo dell’acquariofilia d’acqua dolce è in continua, lenta, evoluzione. Negli ultimi anni a partire da Seachem con il suo Excel, varie case produttrici di integratori per acquario hanno sviluppato vari prodotti a base di “carbonio liquido”, adducendo i loro benefici nel metabolismo vegetale, aiutando la crescita delle piante in concomitanza con l’iniezione di anidride carbonica gassosa in acqua. Molti hanno travisato, e ritenuto che la glutaraldeide sia in realtà CO2 liquida o un sostituto del biossido di carbonio gassoso. Non è così, e lo vedremo. Ma da dove nasce lo sviluppo di questa categoria di prodotti? Cosa è realmente la glutaraldeide, e per cosa si usava prima di diventare un componente aggiuntivo del nostro kit di fertilizzanti?

 

Il 

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Una bottiglia di glutaraldeide per sterilizzazione con il suo attivatore

Ciò che viene generalmente venduto con il nome di “CO2 liquida”, non è affatto anidride carbonica. Non può esserlo perchè il biossido di carbonio a temperatura standard liquefa solo a pressioni superiori alle 70 atmosfere diventando un fluido supercritico, ovvero si trova in una fase intermedia tra quella liquida e quella gassosa, e se apriste una bottiglietta di questo composto, teoricamente, uscirebbe in maniera rapidissima dalla bottiglia sparpagliandosi su tutto il tavolo su cui avete appoggiata la bottiglia. Per cui, no, non è CO2 liquida, tutt’altro. E non è nemmeno CO2 disciolta in acqua, o si chiamerebbe Schweppes.

La glutaraldeide è un composto molto reattivo utilizzato in medicina fin dagli anni ’60 del secolo scorso per disinfettare e sterilizzare sale operatorie, superfici e strumenti chirurgici a freddo, che esplica la sua attività legandosi prontamente all’azoto presente sulle proteine, modificandone la struttura e rendendole quindi inutili. Essendo molto poco selettivo, è in grado non solo di uccidere funghi, protozoi e batteri, ma anche di inattivare eventuali virus presenti sui materiali che stiamo trattando.

Si tratta di un composto liberamente solubile in acqua, ma anche molto tossico e volatile, irritante per la pelle e le cornee e i suoi vapori possono irritare molto anche le vie respiratorie. A causa di ciò, il composto è reperibile in commercio per chiunque non sia addestrato per ragioni lavorative in concentrazioni massime del 2% in acqua, già più che sufficienti a sterilizzare per contatto qualsiasi superficie (già lo 0,1% in soluzione risulta efficace in alcuni casi). Spesso i prodotti contenenti carbonio liquido per acquariofilia sono proprio soluzioni tra l’1.5% (Easycarbo) e il 2% (Excel) di glutaraldeide, per citare i due più famosi sul mercato.

Ultimamente la ricerca sta portando alla produzione di fonti di carbonio alternative o arricchite, ad esempio di mannitolo o amminoacidi specifici, in grado di fornire alla pianta anche protezione da stress e una fonte alternativa di azoto, ma la molecola magica alla base degli integratori di carbonio resta sempre la glutaraldeide.

Un veleno in vasca

Irritante, corrosivo per contatto, nocivo per gli ambienti acquatici, e tossico per inalazione. I rassicuranti simboli di rischio chimico di una confezione di glutaraldeide al 25% (non prendetela in casa).

 

Ma quindi, ci stai dicendo che ogni giorno stiamo immettendo un veleno in vasca? Vi starete chiedendo.

Calma. Una cosa nota fin dai tempi di Paracelso è che è la quantità a fare il veleno. L’arsenico è un veleno senza ombra di dubbio, ma alcuni minatori austriaci lo usavano nei secoli scorsi come tonico, previo restarci secchi prima o poi. La caffeina e l’etanolo sono tossici per il nostro organismo, ma molti di noi ne assumono piccole quantità una o più volte al giorno senza subire danno alcuno, a seconda dell’uso che ne facciamo.

Se è pur vero che la glutaraldeide è un composto tossico per qualsiasi forma di vita, le quantità consigliate dai produttori sono tali da non comportare alcun problema per piante e pesci, ma casomai per dare parecchio fastidio alle alghe, che a differenza delle piante superiori non sono in grado di metabolizzarla. Se partiamo da una soluzione al 2% e ne diluiamo 5 ml in 100 litri, avremo una concentrazione in vasca dello 0,001%, già 100 volte inferiore alla concentrazione necessaria per distruggere ogni forma di vita nell’acquario.

Un pesce adulto non subisce alcun effetto di intossicazione da parte della glutaraldeide finchè questa non raggiunge una concentrazione di circa 10-20 mg/l, le alghe vengono inibite per la metà già a 1,5 mg/l di composto. In presenza di uova, tuttavia, l’utilizzo dell’integratore sarebbe da sospendere, dato che l’embrione di pesce sembra iniziare a soffrire a concentrazioni molto simili a quelle che danno fastidio alle alghe (1.3 mg/l)[1].

Una alga a corna di cervo (Staghorn) durante un trattamento con glutaraldeide: il colore rosa del tallo indica la sofferenza dell’alga, prossima alla sparizione

Nessuna casa produttrice comunque consiglierà mai l’utilizzo di glutaraldeide come alghicida perchè un uso errato del prodotto può comportare al disastro totale in vasca.

Piccolo excursus: se ai produttori di acquari ed integratori la trasparenza piace molto quando si parla di vetri extrachiari, l’etichetta dei prodotti per acquariofilia è invece spesso carente. Un plauso a tal proposito va fatto ad aziende come Seachem e poche altre che hanno il coraggio di riportare in etichetta cosa c’è nei loro prodotti e anche in quale quantità. Prendendo però una bottiglietta di Seachem Flourish Excel noterete che il principio attivo non è segnalato come glutaraldeide, che è un biocida e quindi è regolamentato strettamente dalle agenzie per la salvaguardia ambientale e non solo, ma come “policicloglutaracetale“. Non entro troppo nei particolari, ma vi basti sapere che questo scioglilingua è nient’altro che un sinonimo di glutaraldeide, che quando raggiunge determinate concentrazioni in acqua polimerizza e diventa meno pericolosa da manipolare, ma in fin dei conti si tratta pur sempre di glutaraldeide.

Ma, direte voi, quanta se ne accumula in vasca? L’accumulo può causare dei problemi a lungo andare?

Quello dell’accumulo non è assolutamente un problema. Alcuni studi[2] mostrano che la glutaraldeide, se non viene assorbita dalle piante, viene smaltita prontamente dai batteri aerobici presenti in vasca per il 50% in poco meno di 11 ore. Dopo 24 ore l’accumulo è di circa un quinto di quello che abbiamo inserito, per cui l’accumulo è davvero modesto. Eventualmente si volesse alleggerire anche il minimo accumulo restante, basterebbe non inserire la glutaraldeide per un giorno: dopo 48 ore la quantità rimasta in acqua sarà solo dello 0,2%.

Come funziona la glutaraldeide, e perchè è difficilmente sostituibile

Ma per quale motivo un composto tossico viene utilizzato come integratore per le piante? E perchè ci porta dei vantaggi rispetto ad altri tipi di composti? 

ATTENZIONE: il paragrafo a seguire contiene molti “paroloni” e termini tecnici inseriti per completezza. Nel caso in cui non siate ferrati o non abbiate una infarinatura di chimica o biologia, non abbiatene paura: ciò che conta è il concetto, che credo sia comunque abbastanza chiaro.

Ironia vuole che la glutaraldeide deve le sue magiche proprietà proprio al fatto di essere tossica! Essendo una molecola neutra, ovvero non avendo cariche nè negative nè positive, e relativamente affine anche ai grassi, la glutaraldeide può attraversare con molta facilità la parete cellulare. Una volta giunta all’interno della cellula vegetale, la pianta la riconoscerà come una “pericolosa intrusa” e cercherà di fare di tutto per renderla innocua.

Per fare ciò, una serie di enzimi trasformano la molecola di glutaraldeide in acido glutarico, e, una volta che questo accade, risulta conveniente alla cellula trasformare questo composto ancora in alfa-chetoglutarato. Ancora una volta vi invitiamo a non concentrarvi sui nomi complicati di alcune molecole, ma vi basti sapere che quest’ultimo composto è uno degli intermedi attraverso i quali la cellula trasforma (attraverso il ciclo di Krebs) il glucosio in anidride carbonica per produrre energia. Il risultato sarà quindi di aver fornito, tramite un composto tossico, energia alla pianta! L’alfa-chetoglutarato, inoltre, è una molecola molto importante nella produzione degli amminoacidi: se fatto reagire con altri enzimi (le transaminasi) legherà anche dell’azoto per diventare acido glutammico e glutammina, due amminoacidi importanti che servono alla cellula anche come riserva di azoto. Qualora la pianta si trovasse ad affrontare un periodo di “magra”, potrà disfare la sua riserva di glutammina per sfruttare l’azoto accumulato, e l’acido chetoglutarico come fonte di energia. Niente male, per uno scarto di lavorazione di una tossina, no?

Il ciclo di Krebs, croce e delizia dei biochimici.

Negli ultimi mesi mi sono trovato ad affrontare sul gruppo varie domande riguardanti l’utilizzo di fonti di carbonio alternative alla glutaraldeide. Molti parlano di inserire un tappo di aceto bianco ogni giorno in sostituzione di questa o anche dell’anidride carbonica stessa. Ebbene, non è esattamente la stessa cosa. L’aceto bianco è una miscela di acidi organici, il più abbondante dei quali è appunto l’acido acetico, ma sono presenti anche acido malico, fumarico, tartarico e una manciata di altri a seconda del materiale di partenza utilizzato nella produzione dell’aceto (l’acido malico, ad esempio, prende il nome dalle mele, e l’aceto di mele ne è particolarmente ricco rispetto a quello di vino). Gli acidi organici, sebbene siano acidi deboli, tendono ad assumere una carica elettrica se disciolti in acqua. Se la glutaraldeide è in grado di attraversare passivamente (ossia senza dispendio energetico da parte della pianta) la parete cellulare, gli acidi richiederanno spesso anche un trasporto attivo, ovvero un dispendio energetico, per passare dall’acqua all’interno della cellula: il risultato sarà che la quantità di sostanza assorbita sarà minore, e il guadagno energetico sarà quindi inferiore. Ma non finisce qui: l’acido acetico è alla base del metabolismo dei lipidi, ovvero dei grassi, ed anche alla fine del famoso ciclo di Krebs di cui abbiamo parlato prima per la glutaraldeide, ma rispetto a questa, la pianta dovrà fare molta più fatica per arrivare a produrre il chetoglutarato che servirà poi come riserva di energia ed azoto.

Con questo non intendiamo dire sia inutile o dannoso utilizzare l’aceto bianco, ovviamente in piccole dosi, in acquario, ma che la differenza con la glutaraldeide c’è e non è da poco. C’è da dire anche che gli stessi acidi organici presenti nell’aceto bianco sono prodotti dalle piante stesse, soprattutto a livello delle radici, per nutrire i batteri ed i funghi senza i quali le piante stesse non potrebbero sopravvivere. Sarebbe interessante a questo punto capire se l’utilizzo dell’aceto bianco in concomitanza con la glutaraldeide possa dare degli ulteriori vantaggi alla crescita e alla salute della pianta, ma l’argomento esula al momento dal tema trattato. 

Perchè la glutaraldeide non sostituisce la CO2

Benissimo. Abbiamo visto i vantaggi portati dalla glutaraldeide in acqua, ma qual è il vero contributo che questa dà alla crescita vegetale? Si tratta veramente di un sostituto dell’anidride carbonica?

Un micronizzatore di anidride carbonica a setto poroso, la cui funzione resta superiore e insostituibile all’aggiunta di soli integratori di carbonio organico disciolto in acqua

Facciamo due calcoli: se ogni giorno inseriamo in un acquario da 100 litri circa 5 ml di glutaraldeide all’1.5% di concentrazione, questa corrisponderà a 0,0775 g di glutaraldeide pura. Supponendo che tutta la glutaraldeide venga trasformata in CO2, ci interessa sapere qual è esattamente il contenuto di carbonio della glutaraldeide che stiamo immettendo in vasca: a conti fatti, si tratta di 0,045 g di carbonio, che se trasformato in CO2 integralmente ci fornisce 165 mg di CO2, che divisi per 100 litri ci dà 1,65 mg di CO2 immessi per ogni litro d’acqua, se tutta la glutaraldeide venisse impegnata nel metabolismo diretto del carbonio e non sviata alla produzione di amminoacidi e quindi all’accumulo di energia, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti.

Supponiamo poi che il nostro acquario molto rigoglioso di vegetazione consumi 1 mg/l di nitrati al giorno. Moltiplicando questo dato per i 100 litri del nostro ipotetico acquario, avremo 100 mg di nitrato consumati al giorno, che corrispondono a 22,6 mg di azoto consumati ogni giorno.

Sapendo che il rapporto tra il carbonio e l’azoto nella massa vegetale secca è di 20:1, dovremo quindi moltiplicare per 20 i milligrammi di azoto consumati ottenuti per ottenere il fabbisogno di carbonio giornaliero della vasca. Otteniamo 452 mg di carbonio, che corrispondono a 1665 mg di CO2 per ogni litro d’acqua (16,65 mg/l), circa dieci volte più di quanto forniremmo teoricamente con la sola glutaraldeide nel caso ideale in cui tutto il composto venga assunto dalle piante, e tutta venga usata come fonte di energia istantaneamente.

Insomma, si tratta di un valido aiuto, un complemento alla fertilizzazione che aiuta senza ombra di dubbio, ma non un sostituto assoluto della CO2 micronizzata, che abbassando il pH rende più facile anche l’assorbimento di alcuni microelementi, in una vasca che voglia fare della crescita vegetale un punto centrale.

Conclusione

Speriamo con questa guida di avervi reso più chiare le idee sull’utilizzo degli integratori di carbonio organico in vasca, utile ma non indispensabile e di avere suscitato in voi la curiosità di capire esattamente cosa fate quando aggiungete un prodotto commerciale in acquario. Il nostro scopo non era quello di allarmarvi o dissuadervi dall’utilizzo di alcuno di questi prodotti, ma solo quello di fornirvi un esercizio mentale e rendervi più consapevoli del mondo dell’acquariofilia.

Fino al prossimo articolo, buon cambio d’acqua a tutti!


Bibliografia

[1]: Chronic toxicity of glutaraldehyde: differential sensitivity of three freshwater organisms, Larissa L.Sano, Ann M.Krueger, Peter F.Landrum, Aquatic Toxicology Volume 71, Issue 3, 10 February 2005, Pages 283-296.

[2]: Aerobic and Anaerobic Metabolism of Glutaraldehyde in a River Water–Sediment System, H.W. Leung, Arch. Environ. Contam. Toxicol. 41, 267–273 (2001) DOI: 10.1007/s002440010248

 

 

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