Luce! – 1. La luce umana

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Luce in acquario.

Uno dei settori dell’acquariofilia dove forse c’è la maggiore confusione è senz’altro quello dell’illuminazione. Soprattutto con l’avvento delle ormai non più nuove tecnologie LED, il moltiplicarsi di sigle e unità di misura per la luce (PAR, CCT, CRI, lm/W, µmol/m2s) ha creato grande confusione tra i non addetti ai lavori (illuminotecnici). Vediamo di fare luce su questi concetti.

La luce “umana”

Per fare chiarezza (è il caso di dirlo) occorre richiamare alcuni principi di fisica e prendere confidenza con le principali unità di misura così da avere più strumenti per capire le caratteristiche della luce emessa dai corpi illuminanti che useremo sulle nostre vasche.

Il termine luce (dal latino lux) si riferisce alla porzione dello spettro elettromagnetico visibile dall’occhio umano, approssimativamente compresa tra 400 e 700 nanometri (nm) di lunghezza d’onda. Questo intervallo coincide con il centro della regione spettrale della luce emessa dal Sole che riesce ad arrivare al suolo attraverso l’atmosfera. I limiti dello spettro visibile all’occhio umano non sono uguali per tutte le persone, ma variano soggettivamente e possono raggiungere i 720 nanometri, avvicinandosi agli infrarossi, e i 380 nanometri avvicinandosi agli ultravioletti. La presenza contemporanea di tutte le lunghezze d’onda visibili, in quantità proporzionali a quelle della luce solare, forma la luce bianca. [1]

Le differenti lunghezze d’onda vengono interpretate dal cervello come colori, che vanno dal rosso delle lunghezze d’onda maggiori (frequenze più basse) al violetto delle lunghezze d’onda minori (frequenze più alte). Non a tutti i colori possiamo associare una lunghezza d’onda precisa. Non c’è, cioè, una relazione biunivoca tra i colori che noi percepiamo e le lunghezze d’onda. [1]
Quei colori a cui non sono associate lunghezze d’onda, sono generati dal meccanismo di funzionamento del nostro apparato visivo (cervello + occhio). Quando al nostro occhio arriva luce composta da più onde monocromatiche, appartenenti a regioni diverse dello spettro, il nostro cervello interpreta i segnali provenienti dall’occhio come un nuovo colore, “somma” di quelli originari. Il che è molto simile al procedimento inverso di quello che si fa con la riproduzione artificiale dei colori, per esempio con il metodo RGB. [1]

Per esempio la luce “rosa” delle lampade “grow-light” (rosso + blu) non ha una lunghezza d’onda specifica ma è il risultato del mix rosso + blu operato dal cervello.

L’immagine che segue riassume graficamente i concetti esposti. Notate l’ampiezza dell’emissione solare e le zone dello spettro utilizzate dalla nostra vista e da quella delle piante (spettro PAR)

Nel dettaglio il nostro occhio si è evoluto sviluppando una grande sensibilità alla luce verde (attorno ai 555 nm) e via via sensibilità minore sugli altri colori.

Fonte: ILDA [2]

Da questo grafico (spettro visibile) si deduce che prendendo come base il verde a 555 nm, a parità di intensità effettiva, una luce blu a 473 nm ci apparirà l’89% meno luminosa mentre una rossa a 637 nm apparirà l’80% meno luminosa.
Se non fosse chiaro vi faccio un esempio pratico. Se vi è capitato di entrare in locali illuminati con luce rossa o blu, senz’altro avrete notato come il livello di illuminazione generale appaia basso. Questo non è dovuto a una minore potenza delle lampade utilizzate, ma semplicemente al fatto che su quelle lunghezze d’onda il nostro occhio rende molto meno.

Come già scritto la presenza contemporanea di tutte le lunghezze d’onda visibili forma la luce bianca. Ma c’è bianco e bianco. Parlando di tubi neon o lampade LED sappiamo che esistono in commercio almeno due tipi di luce bianca: la luce “calda” e quella “fredda”. Questa definizione deriva dalla esperienza pratica: una candela emette luce (tendente al rosso-arancio) e calore, quindi luce “calda”. Al contrario un ghiacciaio riflette luce tendente all’azzurro ed è piuttosto “freddo”. Tecnicamente queste differenze di “calore” sono definite come temperatura di colore (CT dall’inglese Color Temperature) o temperatura di colore correlata (CCT) e misurate in Kelvin (K). La differenza tra i due termini è lieve ma sostanziale. Tenete presente che la temperatura di colore in Kelvin indicata sulle lampade è praticamente sempre la CCT.

Questo grafico illustra l’apparenza visiva della luce alle varie CT. Partendo da 2500-2700K abbiamo la luce “calda” delle classiche lampadine ad incandescenza (ormai illegali in Europa), tra i 5000 e i 5500K abbiamo la luce bianca “neutra” (senza particolari dominanti di colore) mentre a partire dai 6000-6500K la luce prende ad avere un aspetto azzurro “freddo”.

 

Il grafico che segue illustra il concetto in modo più scientifico. I vari colori dello spettro sono espressi mediante le “coordinate di colore” x e y mentre la curva al centro del grafico rappresenta i punti dove la combinazione dei colori rende alla vista una luce “bianca” più fredda verso l’origine degli assi e più calda dalla parte opposta. Questa linea rappresenta la temperatura di colore CT (o Tc usando l’acronimo italiano). Noterete che in corrispondenza di alcuni punti (prendiamo ad esempio 6000K) sono tracciate delle rette. Ebbene queste rette rappresentano i punti dove la temperatura di colore correlata CCT è costante. Potremo avere quindi il caso di due lampade dichiarate entrambe con una CCT di 6000K ma una emetterà una luce tendente al verde mentre l’altra apparirà violetta.

Lo spazio di cromaticità x,y CIE 1931. Sono evidenziate anche le cromaticità dell’emissione di luce di un corpo nero a varie temperature Tc, e relative linee di temperatura di colore costante. [3]

Intensità

Fin qui le entità relative al colore della luce. Per quanto riguarda l’intensità abbiamo principalmente due unità di misura: il lumen (lm) che esprime il flusso luminoso (la potenza della luce percepita dall’occhio umano secondo lo spettro visibile) emesso da una sorgente e il lux (lx) che misura l’illuminamento a cui è soggetta una superficie.

In sostanza il lumen esprime la quantità di luce che parte da una sorgente luminosa mentre il lux esprime quanti di quei lumen arrivano a destinazione su una data superficie. Facciamo un esempio:

Un flusso di 1000 lumen, concentrato su una superficie di un metro quadrato, illumina quel metro quadrato per 1000 lux. Tuttavia, gli stessi 1000 lumen, distribuiti su uno schermo di dieci metri quadrati, producono un’illuminazione di soli 100 lux. L’illuminamento misurato in lux si riferisce, quindi, all’oggetto illuminato e non alla sorgente. È fondamentale perché determina quanto una sorgente è in grado di illuminare un corpo o una superficie. [4]

Un ultimo concetto utilizzato in illuminotecnica è l’indice di resa cromatica (CRI). Questo valore esprime, in una scala da 1 a 100, quanto una sorgente luminosa a una certa temperatura di colore è “fedele” nella resa dei colori in confronto alla luce emessa da un ideale corpo nero scaldato alla stessa temperatura (in gradi Kelvin) [5]. In altre parole un oggetto illuminato da una ipotetica lampada a 4500K con CRI = 100 apparirà dello stesso identico colore quando illuminato dalla luce emessa da un ipotetico corpo nero scaldato alla temperatura di 4500K.
Questo fattore è molto importante in campo fotografico, cinematografico e televisivo; per quanto riguarda il nostro campo, in assenza di prove scientifiche, possiamo considerare che una lampada sarà tanto più gradevole a noi e alle piante quanto più alto sarà il suo CRI.

Questo, in breve, è tutto quello che ci serve sapere sull’ottica classica riferita alla vista umana. Ma le piante non “vedono” come noi.

Nella seconda parte vedremo la luce vista dal lato delle piante.

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Riferimenti
[1] Wikipedia
[2] ILDA (International Laser Display Association), immagine
[3] Wikipedia

[4] Wikipedia
[5] Wikipedia

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