Il fondo dell’acquario

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Il fondo dell’acquario

Stiamo facendo partire un nuovo acquario, che bello!
La vasca è stata comprata e portata a casa, abbiamo scelto il fondo, le pietre, i legni e gli altri arredi (in gergo, l’hardscape), e anche tutto il materiale tecnico è pronto. E ora come procediamo? Quali tecniche di avvio esistono e quale ci conviene adottare?
Questo è il dilemma davanti il quale tutti più o meno ci troviamo quando allestiamo una nuova vasca. 

Sostanzialmente la scelta è tra tre metodi che vengono principalmente utilizzati: 

  • Partenza “classica”, con riempimento e piantumazione totale ed avvio di tutta la tecnica senza quasi alcuna esitazione;
  • Partenza “al buio”, che consiste nell’allestimento dell’hardscape (rocce e legni) alla quale segue una fase di buio totale lunga circa 30–40 giorni di maturazione in cui restano attivi solo il filtro ed il riscaldatore;
  • Metodo “DSM” (Dry Start Method), che consiste nell’allestire l’acquario, piante comprese, a secco o quasi, in atmosfera controllata.

Tutti e tre i metodi sono validi, collaudati e garantiscono il successo dell’avvio, e sono di semplice realizzazione. Ma perché scegliere uno piuttosto che un altro?

Come vedremo nella seconda parte di questo articolo, la scelta dipende dal tipo di progetto che abbiamo per il nostro nuovo acquario e da quanto si vorrà ottenere da esso per quanto riguarda la quantità e le specie di piante scelte. 

Prima di approfondire i particolari che contraddistinguono ognuno dei tre metodi possibili per l’allestimento, è però bene comprendere la tipologia di fondo che andremo ad utilizzare, che nel caso in cui si voglia ottenere il meglio dalla vegetazione dell’acquario, sarà una terra allofana aiutata, spesso, da una base di terriccio fertile stabilizzato.

Il fondo fertile e le terre allofane

Che cos’è una terra allofana? Come si comporta una volta messa in acqua?

In buona sostanza, le terre allofane sono miscele argille molto fertili, cercate e studiate per avere grandi risultati con la coltivazione delle piante, fornendo un’ottima base di fertilizzazione minerale alle radici. 

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I tre fondi allofani prodotti da ADA: Amazonia, Malaya e Africana. I tre colori differenti dipendono dalla quantità di materia organica e di ferro presenti nel materiale di partenza

Alla base della formulazione di questo tipo di fondo di acquario è l’Akadama, una argilla di origine vulcanica estratta alla profondità di circa 3 metri sotto le foreste di Cryptomerie in Giappone. La caratteristica di questa argilla è quella di essere molto porosa, ricca di sostanze nutrienti a lento rilascio e di essere leggermente acida in acqua. Si tratta inoltre di un materiale molto poroso, fattore di estrema importanza in quanto favorisce lo sviluppo della flora batterica sulla sua superficie.

Questo materiale viene frantumato e miscelato con sostanze di origine vegetale più o meno ricco in sostanza azotata a seconda che il suo impiego sia progettato per la crescita di piante o per l’allevamento di gamberi ornamentali come le Caridina cantonenesis. La miscela viene quindi cotta in altoforno sino ad ottenerne dei pellet di diverse dimensioni, che vengono messi in commercio a seconda dei gusti e della tipologia di pianta che vorremo mettervi a dimora.

Normalmente i fondi allofani si dividono in due grandi famiglie riconoscibili dal colore: le terre rosse e quelle nere. Ma quali sono le loro caratteristiche e quali le differenze reali? 

La prima differenza fondamentale è ovviamente il colore che è dato dalla quantità di materia organica presente nella miscela di partenza: le terre rosse sono in pratica composte unicamente di argilla, mentre le nere contengono anche una parte di terriccio organico e residui vegetali come il ketotsuchi (un terriccio di consistenza fangosa derivato dalla fermentazione naturale di scarti di produzione delle risaie) e torbe che vengono impastate nella loro miscelazione prima del passaggio in altoforno.

Le terre nere, quindi, avranno qualcosa in più, ma esattamente cosa?

A seconda del produttore e di come questo ha progettato la terra (per l’allevamento di caridine o per la coltivazione di piante sommerse), questi terreni rilasceranno durante l’arco della propria vita, ma soprattutto nella prima fase dell’allestimento, delle sostanze organiche in acqua. I fondi progettati per i gamberi sono molto ricchi di tannini ed acidi umici, sostanze in grado di formare un tampone in acqua a pH molto basso (a valori di circa 5.5-6.5), mentre i terreni progettati per le piante saranno più ricchi in microelementi e possibilmente, come nel caso del famosissimo ADA Amazonia, anche arricchiti in sostanze azotate.

Tutte queste terre quindi, siano esse rosse o nere, hanno la particolarità di riuscire a modificare in maniera più o meno aggressiva le caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua. Sulla superficie del materiale sono infatti presenti delle cariche negative che possono attrarre a sè tutto ciò che in acqua è carico positivamente,  quindi calcio e magnesio (comportando una diminuzione di GH) ma anche potassio, ferro ed altri microelementi, rendendoli disponibili alle radici. Non solo: anche il pulviscolo che spesso si rinviene in sospensione in acquario è spesso carico positivamente ed anche questo sarà attratto dal fondo allofano quindi l’acqua risulterà più limpida! La presenza e la quantità di queste cariche viene misurata scientificamente ed assume il nome di capacità di scambio cationico (CSC). Maggiore sarà la CSC, maggiore sarà il potere “drenante” dei nutrienti dall’acqua verso il fondo e maggiore sarà il beneficio che trarranno le piante.
Tutto ciò che si trova sul fondo e non si trova in acqua è disponibile alle radici e non è disponibile alle alghe e questo costituisce un ulteriore vantaggio.

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La capacità di scambio ionico: le cariche negative sulla superficie del granulo di fondale (parte arancione) attraggono gli ioni carichi positivamente presenti in acqua. Un pH leggermente acido aiuterà il rilascio di questi ioni e l’assorbimento da parte delle radici.

Il colore rosso dell’akadama, poi, è dovuto alla presenza di ferro nell’argilla e il ferro è carico positivamente. Non solo, ma questo elemento è in grado di legare selettivamente i fosfati, rimuovendoli dall’acqua ma rendendoli assimilabili dalle radici.

Le cariche negative, inoltre, sono generalmente bilanciate da ioni Idrogeno (H+), che possono essere liberati quando il materiale viene inizialmente a contatto con altri elementi carichi positivamente, dando la reazione acida di cui abbiamo accennato in precedenza. In conseguenza di ciò il pH dell’acquario tenderà a scendere ma non solo.
Gli ioni idrogeno, una volta liberati dal substrato, possono reagire con gli ioni bicarbonato che normalmente si trovano in acqua e sono i principali (se non unici) responsabili della durezza carbonatica (kH). La reazione tra idrogeno e bicarbonato porta alla formazione di acido carbonico che, rilasciando una molecola d’acqua, si trasforma a sua volta in CO2, che è una sostanza che a temperatura e pressione atmosferiche è un gas e quindi può sfuggire dall’acqua e finire nell’aria che si trova sopra l’acquario.

Nella fase iniziale della maturazione, quindi, le durezze (gH e kH) e il pH tenderanno a scendere in maniera costante e ostinata e, soprattutto se si usa una terra rossa o una terra nera particolarmente aggressiva, si renderà necessario monitorare spesso nel primo mese o due questi valori ed, eventualmente, reintegrare gli elementi rimossi dall’acqua. In alcuni casi, addirittura, l’utilizzo di rocce leggermente calcaree può essere una cosa utile in quanto andranno a bilanciare con il loro rilascio costante di calcio, magnesio e carbonati le quantità assorbite dal fondo.

A seconda della marca e della tipologia di terra “nera” il rilascio di sostanze azotate, molto utili alle piante, può  essere molto alto e l’utilizzo di un sacchetto di carbone nel filtro in questa fase sarà fondamentale se vorremo evitare l’insorgenza di alghe verdi filamentose o addirittura di cianobatteri. 

La fertilità del fondo può inoltre essere aumentata ulteriormente tramite del terriccio fertile stabilizzato, anche questo appositamente studiato per uso acquariofilo, un substrato polveroso contenente microelementi a lento rilascio in forma bilanciata.

I fondi inerti

Se l’utilizzo dei fondi allofani ha avuto inizio solo dalla prima parte degli anni 2000 anni fa da parte dei primi pionieri, in precedenza l’uso dei fondi inerti era la norma. Ma cos’è un fondo inerte? Come facciamo a distinguerlo da un allofano?

Un fondo inerte è, per definizione della stessa parola inerte, un materiale che non interagisce con la chimica dell’acqua. Rientrano quindi in questa categoria di materiali i classici ghiaini ceramizzati, la sabbia di fiume, la pozzolana, e, fino a un certo punto, anche substrati specifici per acquari di piante come Seachem Flourite e Bardula Top Soil, un materiale di origine vulcanica tutto italiano, estratto in Sardegna.

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La Flourite red della Seachem

Anche questi materiali, come agli allofani, posseggono delle cariche elettriche sulla superificie, ma in minor numero. Inoltre si tratta, soprattutto per quel che riguarda ghiaini e sabbie, di materiali meno porosi, e questo fa in modo tale che la quantità di cariche sia inferiore. Seachem Flourite e Bardula, pur non essendo altrettanto attive quanto gli allofani, hanno però la capacità di rilasciare molto lentamente delle sostanze utili alle piante, il che li rende ottimi materiali per chi non si sente ancora pronto o non abbia voglia di confrontarsi con le terre allofane.

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Bardula Top Soil

Fondi come sabbia e ghiaini di colori naturali saranno quindi molto desiderabili in vari allestimenti in cui la parte vegetale non può essere presente, o non è al centro del progetto, o siano specificamente richiesti da diverse specie di pesci, come ad esempio Corydoras o Discus.

Nonostante ciò, questi materiali possono essere arricchiti in ogni caso con gli stessi terricci fertili a lento rilascio già citati per i fondi allofani e guadagnare un certo grado di fertilità, sebbene le due alternative (Flourite o Bardula o allofani specialmente neri) saranno qualitativamente superiori e ci consentiranno di immettere in colonna d’acqua una quantità minore di nutrienti.

Terminato il nostro escursus sul fondo, passiamo a considerare i tre metodi (anzi, quattro) di avvio della vasca (Parte 2).

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